domenica 22 marzo 2015

16. Colazione con il Re

Illustrazione di Alessia Tricarico
Fuoco.

Fuoco ovunque.

Sono al centro di una stanza che va a fuoco.

Mi guardo a destra, a sinistra, sono circondato.

Ma non posso morire così.

Sono giovane.

Sudo freddo, malgrado il calore che mi increspa la pelle.

Ho paura.

Corro in quell’incendio, gridando tra le fiamme.

E mi sveglio.

L’unica cosa vera, è il sudore.

Sono sudato fradicio.

Non sono solito fare incubi.

Sono nella mia nuova stanza, a piani e piani di distanza dal lettuccio in cui dormivo fino a ieri.

E’ una camera tutta rossa, dalle tende alle coperte, al tappeto, agli armadi, alle pareti… Tutta rossa.

L’orologio segna le ore 6:09.




Alle 6:30 il principe si sveglierà.

Io dovrò essere già pronto a seguirlo tutto il giorno, dalle lezioni di tiro con l’arco, al pranzo, alle sue passeggiate e qualunque altra cosa faccia.

Mangerò a tavola con il Re.

Per tre volte al giorno, avrò l’occasione di tessere un rapporto con lui.

Devo essere come una spugna.

Devo assorbire tutte le informazioni di cui ho bisogno per rendermi prezioso ai suoi occhi, indispensabile.

Un po’ di fiducia, già l’ho guadagnata, grazie al casuale e miracoloso salvataggio del suo adorato primogenito.

Non mi manca molto casa, ma sento di essere in una situazione che non mi appartiene. Se non riuscissi a conquistare il Re e ad ucciderlo nei tempi stabiliti e senza che si venga a sapere che è stato un soldato-spia di Kroatoan, sono disposto a sgozzarlo anche a tavola.

Questo per ora non è possibile perché, se facessi fuori lui, poi farebbero fuori me e i miei compagni.

Invece se sistemo le cose in modo tale che nessuno sospetti di me, allo scadere del terzo mese, ci sarà confusione, ci sarà panico. E poi, solo quando io, Rony e Emma saremo al sicuro e l’esercito di Locke avrà penetrato le mura di Gelso, grazie a quelli di noi che sono all’interno, verrà rivelato che siamo stati noi.

Il non essersi accorti di avere il nemico nel loro stesso Regno, sarà il colpo finale.

Senza Re e senza sicurezza è una battaglia persa.

Mi alzo dal letto, scosto le tende.

Il sole è alto, il cielo è blu.

Poggio una mano sul vetro, all’altezza di una nuvola.

Ancora non le ho assaggiate.

Dopo essermi lavato e vestito, vado verso la stanza del figlio del Re.

Trovo la porta socchiusa.

Strano.

Dovrebbe ancora essere a letto, a dormire.

La spingo dalla maniglia con la punta delle dita…

Lui è già in piedi, vestito di tutto punto, mentre rovista in un baule.

Mi vede dallo specchio di fronte a sé e il suo volte tranquillo diventa improvvisamente scocciato.

«Ah, sei qui. Non ce n’era bisogno. So dov’è la sala da pranzo, posso arrivarci da solo», dice innervosito.

«Ho ricevuto i miei orari e i miei compiti e intendo rispettarli», rispondo secco, continuando a rimanere sulla soglia della porta.

 «Ah, dimenticavo» aggiunge con tono sprezzante «sei un soldato, ecco perché sei così robotico. Ce li avete i robots, a Clorophilia?»

I soldati sono abituati ad essere maltrattati.

I comandanti, i sergenti lo fanno per renderli più forti.

E funziona.

Ma non per tutti.

A volte scatenano la ribellione. Come per alcuni Disonorati di Kroatoan.

C’è chi dice che anche l’amore renda forti e senza paura.

Ma io non ho bisogno dell’amore, perché già non provo paura.

E poi, non potrei neppure sentirlo, l’amore.

«Non molti, Principe», rispondo neutrale.

«Da noi arano i campi. Perché non soffrono il caldo e la stanchezza». Si volta verso di me, e mi fissa trucemente.

«Non ti voglio». Non ne avevo dubbi.

«Ma sono suo comunque». I suoi capricci da principino non funzionano con me.

«Mio padre non può farmi questo! Non sono più un bambino! Tu eri un Servitore, potevi continuare ad esserlo! Cosa sei venuto a fare a Gelso?!”

La sua domanda diretta mi scuote.

«Io a Clorophilia non avevo nessuno. Non avevo niente da perdere. Forse sono venuto qua per avere qualcuno, per trovare qualcosa».

Di solito queste smancerie funzionano con i ragazzini.

E forse non è neppure una menzogna.

Mi guarda, suppongo che stia pensando a come comportarsi dopo le mie parole.

«Potevi andare a Kroatoan!», sbotta alla fine.

E’ un pessima barzelletta.

E mi verrebbe da dire che il bambinetto è senza cuore, ma dato che sono nella stessa condizione “emotiva”, credo sarebbe paradossale.

 «Anche stare a Gelso comporta delle responsabilità. E può essere comunque orribile, se non  vieni accettato», sospira, con un po’ di amarezza.

Accettato.

Parla di lui.

Chi non l’accetta?

Il Re, forse?

No, è solo protettivo, ma lo ama, si capisce.

E anche il Personale del Palazzo, sembra trattarlo bene.

Lo scoprirò, se avrò tempo…

Ora è il momento della colazione. Con il Re.



 Scritto da Valeria Quarto

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