domenica 8 marzo 2015

14. L’INCARICO


Illustrazione di Alessia Tricarico
Si dice che il legame tra padre e figlio sia qualcosa di incisivo.

Ho letto che se hai un buon rapporto con tuo padre, cresci sicuro di te, pronto ad affrontare il mondo e la paura. Al contrario, se con lui non si crea un legame “speciale”, d’amore e di protezione, non avrà una vera e propria identità e sarà difficile, per lui, arrancare nella vita da solo.

Io non ho mai conosciuto la mia famiglia.

A volte mi chiedo, se non avessi questa benedizione (e maledizione al tempo stesso), di non provare alcun sentimento, forse non sarei quello che sono, un soldato, un combattente. Nonostante la giovane età, ho già avuto a che fare con la vita e con la morte.

A Kroatoan il Governatore non ha figli, ma ha un nipote designato come suo potenziale erede. Eppure credo che Month, suo nipote, lo veda proprio come un genitore. Lo teme e trema ad ogni suo ordine. Non li ho mai visti in atteggiamenti affettuosi, neppure quando era piccolo. Lo so perché siamo cresciuti assieme, abbiamo frequentato la stessa scuola. Mi dispiace dirlo (in realtà no, dato che non provo rimorsi, la storia ormai la sapete), ma è uno smidollato, che gioca a fare il bullo solo per dimostrare che ha il potere. Non riesco a immaginare che lui, un giorno, erediterà il trono. Forse lo è per questo motivo: non ha mai avuto un padre vero e proprio e deve cavarsela da solo, in qualche modo.

«Non ti lascerò andare in giro mai più da solo neanche per il Castello, adesso», sospira il Re.

Enok guarda il padre accigliato, nascondendo metà volto tra le lenzuola celestine del letto dell’infermeria. Nonostante la strigliata, non c’è rancore nei suoi occhi.

Cedric I finalmente si accorge di me.

«Jensen, cosa ci fai tu qui, ragazzo?»

Si ricorda il mio nome.

L’Infermiera gli risponde: «Se non fosse stato per questo giovanotto, il Signorino Enok a quest’ora starebbe ancora dormendo nel pozzo del Labirinto».

«Poteva lasciarmi lì, almeno sarei stato libero», sbotta il principino.

«Che assurdità che hai detto, essere libero in un pozzo», ribatte suo padre.

«Solo chi è veramente libero può cacciarsi nei guai, ricordatelo», sentenzia ancora il Re.

«Comunque, ragazzo», dice rivolgendosi di nuovo a me, con tono solenne e puntando i suoi occhi nei miei «Non sarai più un Servitore».

Come?

«Tu sarai la Guardia Personale di mio figlio!»

«Cosa?!» esclama Enok, zompando fuori da letto, per poi gridare dal dolore per la mossa azzardata fatta.

I nostri occhi si incontrano per un istante.

«Papà, sul serio? Ma scherzi? Ho 13 anni!»

«Chissene importa! Io sono il Re, comando io! E poi Logan era militare a Clorophilia, non è un dilettante!»

«Già, si sa quanto siano esperti i Bianchi, guarda, sarò proprio al sicuro col dio della guerra qua…”, il tono sarcastico accompagna le braccia che si incrociano sul petto.

«Intanto è stato proprio un Bianco a salvarti», dico con calma.

Lui mi fulmina con lo sguardo.

Non sono in grado di provare emozioni, ma credo che se potessi, ora sarei irritato.

Parla troppo per essere un “reale”.

«Ben detto ragazzo! Scendi subito dal Cappellano e fatti modificare il timbro! Fatti scrivere sul polso… vediamo… Difensore Reale! Perfetto!», il Re sembra entusiasta di questa sua idea.

«Ora ti scrivo personalmente una richiesta, Jensen», dice il Re, estraendo una penna ricoperta di diamanti dalla tasca della veste che indossa, blu cobalto.

«Enok, rimettiti, e rimetti pure la testa a posto. Basta danni. E sta sempre incollato a 
Jensen», ordina il Re al figlio, prima di lasciare la stanza.

Mi alzo dalla seduta, e quando sono sulla soglia il Principe mi rivolge un’ultima parola.

«Sai una cosa, Jensen? Non rinuncerò alla mia libertà.Farò di tutto per renderti questo incarico un incubo. Stammi bene».

Ecco, questa minaccia suona molto reale.

Eppure questa è anche una grande opportunità inaspettata.

Dobbiamo aggiornare il piano. Vado ad incontrarmi con i miei compagni.

E mentre chiudo la porta alle mie spalle, penso a come quel ragazzino potrebbe mai rendermi questo incarico “un incubo”.



 scritto da Valeria Quarto

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