domenica 13 settembre 2015

33. COME ME

Ma quanto mangia?

Sarà che è al principio della pubertà, ma “solo un panino”, ne sono diventati quattro e ora sta divorando dei biscotti al cioccolato.

Eppure è così mingherlino…

Siamo nella dispensa della cucina, che è strapiena di cibo, quindi nonostante l’ambiente potrebbe essere spazioso, gli scaffali strabordanti occupano tanto spazio da far star stretti uno asciutto come me e un nanetto come lui.

«Enock, siamo qui da mezz’ora, ti vuoi muovere?», sbuffo.

«Kat la cuoca dice sempre che quando hai un problema, prima di risolverlo, ti devi sedere a tavola e mangiare», cerca di rispondere, con la bocca impastata, che mi rende difficile capire ciò che biascica.

«Beh, sì, non so quanto questa dritta sia professionalmente valida, comunque, ANDIAMO!», 
affermo, afferrando il barattolo di biscotti e riponendolo fermamente su una mensola.

«Ehi! Va bene, va bene, andiamo», si arrende, pulendosi “il muso” con la manica dell’abito.

Torniamo all’ultimo piano.

Entriamo nella stanza del Re, che dorme, la coperta tirata fino al collo, la corona sul comò, gli occhi chiusi.

«Papà», sento sussurrare Enock.

«Non può sentirti», gli ricordo, dispiaciuto per lui.

«Ma io sì», pronuncia una voce sconosciuta alle nostre spalle.

Ci giriamo ed eccolo.

Il principe mi afferra istintivamente per un braccio, rimanendo un passo indietro.

Vedete, in questo momento non sono stupito, ciò per diverse ragioni.

Le stanze erano quasi terminate, seppure ammetto non credevo fosse proprio qui: perché non l’ha ancora ucciso?

Secondo, ma non meno importante, non posso provare emozioni, né spavento, né stupore.

Ormai avrete la nausea di questa storia dello “zero sentimenti”, ma in momenti come questi è di vitale importanza.

Quando ero in guerra, leggevo sul volto dei miei nemici quando l’effetto sorpresa da loro sperato, non mi sconvolgeva più di tanto.

«Corallo, presumo».

E’ seduto sulla sedia del Re.

I suoi occhi sono verdi, vitrei.

I suoi capelli rossi e la sua pelle bianca.

Mi colpiscono i colori della sua persona.

Sono tutti molto… netti.

Non ha una sfumatura di rosa sulle guance o delle schegge dorate o castane o che so io nelle iridi, né i capelli hanno riflessi.

Rosso, bianco, verde.

Vestito di nero.

Sembra… finto.

Un disegno.

E non sembra affatto un cittadino di Gelso.

Anche se, ormai, forse non lo è più da tempo.

O in realtà non lo è mai stato.

«Logan, è da tempo che ti osservo. E’ un piacere fare la tua conoscenza, personalmente, si intende».

La sua voce è affettata, monotono.

Monocromatico.

«Aspetterei a dirlo. Se sei qui per uccidere il Re, avresti dovuto farlo prima del nostro arrivo», e mentre lo dico, lo fisso negli occhi e faccio scivolare la mano destra in cerca del pugnale che nascondo nella tasca interna del mantello.

«Nossignore, non avrei mai potuto! Aspettavo proprio voi, anzi» e qui si alza in piedi di scatto, sedendosi sullo schienale della poltrona «aspettavo te».

Devo aver assunto un’espressione interrogativa, perché continua dicendo: «Voglio che il Re muoia? E’ vero. Ma non ho mai detto di volerlo uccidere io, con le mie mani. La prima volta che c’ho provato, ahimè, è andata male… Ma non questa volta che ho te».

«Cosa stai dicendo?!», mi irrita tutto questo giro di parole.

«Ma come, dovresti ringraziarmi. Io lo so, so chi sei e da dove vieni»

Come può saperlo?

Sento Enock scalpitare alle mie spalle.

Sarà confuso.

Ma ho l’impressione che, a breve, Corallo gli schiarirà le idee.

«Io e tu abbiamo un paio di cose in comune, amico mio», si alza e si avvicina lentamente a me.

Stringo il manico del coltello, pronto ad estrarlo.

«La prima – e questa sì che ti sconvolgerà – è che anche io… sono come te. Incapace di provare emozioni, sentimenti. Fin da quando sono nato. La seconda – ma questa la sai già – entrambi vogliamo uccidere il Re».




Scritto da Valeria Quarto

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