domenica 26 luglio 2015

29. VETRO

La stanza è piena di… “attrezzi”.

Sì, insomma, non so come chiamarli. Macchinari?

C’è una specie di poltrona molto grande, alla mia destra, con tanti pulsanti sul bracciolo, e al capo una targhetta in acciaio con su scritto “Sedia per catapultarsi” – non sono sicuro di voler sapere a cosa serva; poco più in là, c’è una specie di cane-robot, ma è spento, credo; Intravedo un attaccapanni, ma sicuramente sarà qualcosa di diverso, che fa qualcosa di “strano”.

Procedendo in questa stanza che prima, da vuota, sembrava più piccola (che paradosso) e invece, adesso, sembra un po’ labirintica, e addentrandomi tra scaffali con oggetti uno più “interessante” dell’altro, comincio a scorgere materiale più… raccapricciante.

Una ghigliottina elettrica. Un fucile di vetro, si vedono le munizioni al suo interno.

Un arco.

Potrebbe essere stato lo stesso usato per colpire il Re. Non vedo le frecce…

Ho sentito qualcosa.

Sembra… un respiro?

Un ritmo costante.

Non ho armi con me, ma preparo i pugni serrati.

Svolto lo scaffale finale, il respiro si fa più vicino.

Ma non è Corallo.

Non devo picchiare nessuno.

E’ Enock.

Rinchiuso in una specie di… Gabbia di vetro.

Batto sulle pareti della prigione per svegliarlo.

E’ pallido.

Chissà da quanto tempo è qua.

Ai piedi della piccola struttura, vedo un piatto con del pesce mangiucchiato.

Bene, significa che lo vuole tenere in vita, altrimenti non lo nutrirebbe.

Apre lentamente gli occhi.

Sembra frastornato, quando mi vede.

«Enock, stai bene?», può sembrare una domanda banale, ma non lo è.

Lo vedo che non sta bene.

E’ rinchiuso in una cella di vetro angusta e con poca aria, chi starebbe bene.

Ma la domanda va fatta, perché nel momento in cui mi risponde:

«No, che non sto bene, non sto bene affatto, non sto bene quasi per niente», io posso dirgli: «Allora aspetta, adesso ti do una mano io».

Se una persona sta bene, non ha bisogno di aiuto, no?

La sua voce è un po’ rotta, trattiene forse un pianto esasperato.

Ma anche… speranzoso.

Come se, nel suo tono, ci fosse un “Finalmente sei qui”.

Questa scatola non ha porte, né spazi da forzare.

«Quando ti danno da mangiare, come fanno a passarti il cibo?», gli domando.

Poggia i palmi sul vetro e lo perlustra.

«Ha una specie di telecomando, ma lo porta sempre con sé… la vetrata si apre, ma non saprei ora come fare…».

Ovviamente non è una gabbia come tutte le altre, dovevo immaginarlo.

Beh, credo che Enock abbia passato fin troppo tempo rinchiuso in questa scatoletta.

A mali estremi, estremi rimedi.

Grido:«Stai giù!», e lui fa appena in tempo a rannicchiarsi su se stesso che impugno il fucile trasparente preso un attimo prima dallo scaffale e sparo a raffica sul vetro, che cade in mille pezzi.


Scritto da Valeria Quarto



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