«Emma, credo che sia necessario che anche io utilizzi il
bicchiere d’acqua per diventare invisibile».
Mentre lo dico, guardo il Guardiano.
«Non esiste!», sapevo che non sarebbe stata d’accordo.
Ormai sto imparando a conoscerla.
Poco prima le ho detto che avevo bisogno che rimanesse forte
e che avevo bisogno che mi spalleggiasse e poco dopo le dico che devo
“scomparire”.
«Roy potrebbe essere qua con noi, adesso. Non vedo perché
lui non dovrebbe riuscire a trovare l’oggetto in grado di riportarlo alla sua
materia originale, quella visibile ai nostri occhi».
«E se lui non fosse qui?», cerco di farla riflettere «e se,
anzi, ci fosse Corallo, che ha sentito che abbiamo scoperto tutta la sua
“realtà”, mettendo il nostro compagno ed Enock, più in pericolo di quanto già
non fossero? E se Roy e il ragazzino non fossero insieme? E se Corallo li
avesse… presi? Devo diventare anche io come loro
per farli tornare come noi».
Non penso spesso alla mia infanzia.
Sono sempre stato solo, di rado giocavo con altri bambini o
mi lasciavo abbracciare o accarezzare dalle mie nutrici, dai tutori
dell’orfanotrofio.
Ma non mi è mai pesato, ha giocato in mio favore il
“problema” di non provare alcuna emozione.
Ma più che un problema, da piccolo, mi sembrava un dono.
Nella biblioteca della Scuola di Kroatoan leggevo questi
libri in cui si parlava di orfani, bambini senza madre e padre, che soffrivano,
si sentivano fragili, perduti nel mondo troppo grande per le loro quattro ossa
assemblate.
Ma io, non ne soffrivo.
Non mi sentivo solo.
Non mi sentivo perduto
Non mi sentivo fragile.
Io “non mi sentivo”.
Ma immagino che il principino, Enock, senta.
Si sentirà separato da tutto e tutti e chissà se sa cosa gli
sta succedendo davvero.
Se ha trovato Roy, e non è più tanto solo.
O se l’ha trovato Corallo….
Emma sta riflettendo.
So già che vorrà proporre, se non ordinare, di
smaterializzarsi anche lei.
«Tu mi servi qui», la
precedo «voi due siete gli unici che sanno come stanno le cose e che, nel caso
ci fossero problemi, saprebbero cosa fare», concludo, tornando a guardare il
Guardiano, che mi scruta in silenzio.
Non parla, ma credo che sia d’accordo con me.
Anche Emma ora non spiccica più una parola.
Lei è forte, ma è insicura.
Ha timore “del nuovo”, dei cambiamenti, degli imprevisti.
Delle cose che non si possono controllare.
Il che è una follia, perché è come avere paura di tutto,
visto che la vita non si può controllare.
«Entro tre giorni tornerò. E non sarò solo», prometto con
fermezza, ma senza esserne davvero sicuro.
Emma sospira.
Ha accettato la cosa.
«Okay».
Mi reco da solo nel sottoscala del castello.
Il bicchiere d’acqua è sempre là, al centro della stanza
vuota.
Bevo tutto di un fiato.
Vediamo se questa stanza è davvero vuota.
Scritto da Valeria Quarto
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